Quanto è cambiata la comunicazione politica? Ce lo siamo chiesto spesso durante l’ultima campagna elettorale. L’abbiamo vissuta su un fronte non dei più facili, ma con tanto più spirito battagliero ed esplorativo proprio per questo. Mantenere un atteggiamento scientifico, da osservatore partecipante, non è così semplice in campagna elettorale. Ma è questo il bello: ti imbarchi in una impresa con un progetto e finisci per fare tutt’altro. Parti come ideologo e ti ritrovi a gonfiare palloncini sotto la pioggia. E sei pure felice di farlo.
Qualche appunto però lo abbiamo preso.
Cosa è cambiato nella comunicazione politica ai tempi dei social?
Innanzitutto le parole. Alcune sono sparite. Simbolo, per esempio. Quello che sta sulla scheda, ma anche sulle bandiere, avete presente? Non è solo un simbolo nel senso letterale del termine. È il simbolo in senso lato, il significato è il significante, è la manifestazione di un progetto, di un pensiero, di un approccio culturale all’esistenza. Di più: è una dichiarazione di appartenenza. Ma non esiste più. Chiedete del logo e qualcuno capirà cosa state cercando.
Per non parlare della parola partito. Quella sì che c’è da aver paura a pronunciarla. Non si azzarda quasi nessuno. È decisamente old school. Pensare che un tempo si doveva portare un certo rispetto al Partito. La maiuscola si percepiva anche nel parlato.
Come direbbe qualcuno, le parole sono importanti.
Ma più importanti sono i fatti.
E infatti, scusate il gioco di parole, vince chi fa, più di chi parla, anche nell’era dei social, dove chiunque è un opinion leader.
Ci siamo interrogati a lungo per capire quanto un post su Facebook o un video simpatico possano orientare il voto. Personalmente sono partita scettica, ma poi ho riflettuto sul fatto che negli USA c’è una quasi procedura di impeachment in corso per presunti fake account che avrebbero influenzato il corso elettorale. Forse è il caso di rivedere le mie posizioni, mi sono detta. La mia risposta basata esclusivamente su dati empirici è che a livello locale i social hanno unicamente una funzione di conferma del preconcetto (anche in senso positivo). La piazza virtuale è il luogo dove si cercano conferme ai propri pensieri: ci si chiude nella bolla degli amici e si gongola nel magico algoritmo che fa sparire ciò che non condividiamo.
Per i candidati i social network sono uno strumento utile a ricordare agli elettori i propri meriti e rientrare in contatto con molti di loro. Ma pochi (se esistono) decideranno di scrivere il nome di una persona sulla scheda solo perché l’hanno vista su Instagram.
Discorso diverso a livello nazionale, dove forse esiste ancora un certo grado di ideologia (altra parola scomparsa dal vocabolario). Qui potrebbe esla comunicazione politica via social, fatta di video “emozionali”, foto da condividere, battute simpatiche e “storie” potrebbe avere un ruolo maggiore. Ma a ben guardare, anche all’ultima tornata, ha vinto ad ogni livello chi è stato di più in strada, tra le persone.
E allora forse la comunicazione politica è cambiata ma fino a un certo punto. Certo, non ci sono più i filosofi di un tempo (ahimè). Ma vince sempre chi sa ascoltare. E agire di conseguenza, nelle piazze virtuali e soprattutto in quelle fisiche.